Il Big Mac index è stato inventato dal settimanale britannico The Economist nel 1986. L’indice è un indicatore economico che confronta il potere di acquisto di due valute prendendo come punto di riferimento il prezzo del celebre panino nei diversi paesi. L’obiettivo è stimare quanto una valuta sia sopravvalutata o sottovalutata rispetto ad un’altra. Il Big Mac index, data la sua natura di indice, è una forma riassuntiva e semplificata della realtà che non tiene conto di tutti i parametri presenti nel mercato ma è ritenuta un’approssimazione utile e è utilizzata da molti economisti.
La scelta del panino è dovuta al fatto che è un bene abbastanza standardizzato, preparato con gli stessi ingredienti e con le stesse procedure in tutto il mondo (sono più di 100 paesi).
Il Big Mac Index si fonda sulla teoria neoclassica della Purchasing Power Parity (PPP1) e della Legge del Prezzo Unico. In sostanza, il cuore della PPA sostiene che il tasso di cambio tra due valute dovrebbe tendere naturalmente nel lungo periodo ad aggiustarsi in modo che un paniere di beni abbia lo stesso costo in entrambe le valute. Se un computer costa 1000 dollari e a Hong Kong costa 4.000 dollari di Hong Kong (DHK) il tasso di cambio dovrebbe essere 1 USD a 4 DHK.
Ritornando al Big Mac Index scopriamo quindi che si basa sul mancato rispetto nel breve periodo della PPP, permettendoci di stabilire se una moneta è apprezzata o deprezzata rispetto ad un’altra. L’analisi è svolta prendendo il prezzo del Big Mac di una nazione e dividendolo per il costo nell’altra nazione. Secondo i dati aggiornati a gennaio 2021 del The Economist il prezzo di un Big Mac in Gran Bretagna è di 3,29 pound e 4,25€ nell’area euro. Il tasso di cambio implicito è 0,77 ma il cambio attuale è di 0,9. Questo suggerisce che la Sterlina britannica è sottovalutata del 14%.
Nonostante l’indice Big Mac sia ritenuto da diversi economisti una ragionevole misura reale della parità del potere d’acquisto ha dei limiti:
- È limitato alla diffusione dei franchise di McDonald’s;
- McDonald’s utilizza strategie commerciali differenti, ad esempio in India il Big Mac non esiste per motivi religiosi e viene sostituito con il pollo, in Australia ha il 22% di calorie in meno che in Canada;
- In alcuni paesi è più costoso un fastfood internazionale che un ristorante locale;
- L’abitudine a consumare pasti nei fast food, le tasse locali, i livelli di concorrenza e i dazi doganali potrebbero non essere rappresentativi dell’economia del paese;
- I beni e i servizi non commerciabili (come la pubblicità, la manodopera o i costi per aprire un ristorante) sono ovviamente diversi fra i paesi e anche all’interno della stessa regione potrebbe essere più conveniente aprire in una località rurale che in centro a Milano.
Esiste una versione dell’indice GDP-adjusted (corretta per il PIL) al fine di affrontare alcune criticità come, ad esempio, il fatto che i Big Mac dovrebbero essere più cari nei paesi ricchi rispetto ai paesi poveri. Tornando al discorso relativo l’Euro – Sterlina, il Big Mac costa il 14% nel Regno Unito (3,65€) ma dovrebbe costare il 3% in più e ciò suggerisce che la sterlina è sottovalutata del 16,3%. L’indice da alcune indicazioni in the long run ma ben poco sul tasso di equilibrio attuale.
L’indice ha fatto nascere il termine Burgernomics. Esistono anche altri indici, sempre realizzati dal The Economist, che utilizzano altri beni diffusi in tutto il mondo Tall Latte (Tazza di caffè Starbucks, 2004) o il prezzo della Coca-Cola (1997). Il KFC Index è stato creato dalla Sagaci Research nato per misurare la Purchasing Power Parity nel continente africano data la maggiore presenza della catena KFC rispetto a McDonald’s.
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1 in italiano: Parità dei Poteri di Acquisto o PPA.
Fonti
The Economist, Burgenomics: The Big Mac Index
The Economist, What the Big Mac index says about the dollar and the dong
Segal T., What Is the Big Mac Index?, Investopedia.com
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